Appunti di genetica della
schizofrenia
GIUSEPPE
PERRELLA
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 23 settembre
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Premessa. La favorevole accoglienza da parte dei lettori dei
miei Appunti di neurobiologia della schizofrenia (in Note e Notizie 16-09-23),
mi induce ad aderire sollecitamente alla richiesta di scrivere anche per la genetica
della schizofrenia un’introduzione sintetica, chiara e accessibile e, anche
questa volta, senza cenni storici, illustrazioni dei metodi e dei problemi della
ricerca o riferimenti a questioni controverse. Sperando di esservi riuscito,
senza aver penalizzato troppo gli aspetti che richiederebbero di essere
discussi, auguro a tutti una buona lettura.
La genetica studia variazioni rare
e variazioni comuni all’origine della schizofrenia. Per la
genetica della schizofrenia non è possibile proporre un sintetico elenco di
risultati della ricerca senza far cenno ai criteri adottati negli studi, perché
l’esatto rapporto che intercorre tra alterazioni geniche e sviluppo del
disturbo clinico non si conosce ancora. E ciò è dovuto sia alla mancata
definizione delle sequenze molecolari eziopatogenetiche, sia al fatto che
percorsi molecolari differenti potrebbero portare allo stesso tipo di deficit e
squilibri tra sistemi neuronici, che causano deliri, allucinazioni e sintomi
cognitivi[1]. Non è
un caso che Joseph Coyle, nel titolo di un suo approfondimento sulla genetica
della schizofrenia, dichiari: “È complicata”[2].
Sia la genetica epidemiologica degli “alleli di
rischio” sia i risultati degli studi genetici nelle famiglie sono interpretati
in base a delle ipotesi in attesa di conferma sperimentale. Ma, procediamo con
ordine, ossia da come si sia giunti a ritenere che la componente genetica sia
essenziale e necessaria, ma non sufficiente allo sviluppo del quadro clinico.
Nella popolazione generale la probabilità o “rischio”
di sviluppo della psicosi è stimata dell’1%, mentre la concordanza nei gemelli
monozigoti, quando uno è affetto, è fissata dagli studi classici intorno al 60-65%[3], al 10% tra
fratelli non gemelli e al 3% tra parenti di primo grado; ma recentemente questa
stima è stata rivista e corretta, portando all’80% il ruolo dei geni nello
sviluppo del quadro clinico[4]. L’importanza
della base genetica è dunque fuori discussione ma, rimanendo una probabilità di
almeno il 20% che non sviluppi la malattia psichica una persona con lo stesso
patrimonio genico di uno schizofrenico, il ruolo dei fattori ambientali, intesi
nel senso più estensivo possibile del termine, rimane di estremo interesse.
Gli studi recenti volti a determinare quali geni siano
responsabili delle anomalie cerebrali osservate negli schizofrenici e a quali
funzioni tali geni contribuiscano, sono stati condotti prevalentemente da consorzi
internazionali di ricerca in grado di coprire uno spettro di indagine di decine
di migliaia di pazienti e membri delle loro famiglie. È emerso che, sebbene i
sintomi diacritici appaiano al più presto nella tarda adolescenza, molti dei
geni associati alla schizofrenia sono attivi già nello sviluppo embrionale o
fetale. Questo rilievo è coerente con la nozione della vulnerabilità intrauterina
a fattori di rischio ambientale, le cui conseguenze si manifestano nella vita
adulta.
Per la schizofrenia, come per l’autismo e il disturbo
bipolare, la ricerca genetica distingue due categorie di varianza: variazioni
rare e variazioni comuni. Le variazioni rare, che si rilevano
in meno dell’1% della popolazione e spesso in una proporzione bassissima,
prendono il nome di mutazioni. Le variazioni comuni sono apparse
nel genoma umano molte generazioni fa, sono presenti in più dell’1% della
popolazione generale e, in quanto si considerano forme possibili dello stesso
gene, si chiamano polimorfismi. Entrambi i tipi di variazioni possono
essere causa o concausa di malattia, e si ritiene che sia i polimorfismi che le
mutazioni possano predisporre alla schizofrenia[5].
I meccanismi patologici delle varianti rare ci
dicono che mutazioni rare accrescono enormemente il rischio di una
persona di sviluppare un disturbo relativamente comune.
A questo punto è opportuno ricordare in cosa
consistano le CNV (copy number variations): scolasticamente le CNV sono descritte
come rare variazioni che modificano la struttura di un cromosoma attraverso l’aggiunta
di uno o più geni (copy number duplication, ecc.) o attraverso la
perdita (copy number deletion); la ricerca sulla genetica dei disturbi
mentali ha rivelato che le CNV consistono in micro-inserzioni, micro-delezioni
e trasposizioni nel genoma umano che variano in dimensioni da centinaia a
milioni di coppie di basi del DNA[6]. Alcuni
studi hanno rilevato che le CNV accrescono o riducono i geni di un cromosoma in
un numero variabile da 20 a 30[7].
Nella schizofrenia, rare CNV del cromosoma 7
accrescono il rischio di sviluppare il disturbo, e sono le stesse CNV associate
ad aumentato rischio di disturbi dello spettro dell’autismo (ASD). A questo
proposito è particolarmente significativo il lavoro di Matthew State, che ha
identificato un segmento del cromosoma 7 (7q11.23) di assoluta importanza: una
copia in più accresce straordinariamente la probabilità di sviluppo di un ASD,
mentre la sua assenza per delezione causa la sindrome di Williams[8].
Gli studi sulle CNV associate alla schizofrenia
hanno individuato rare delezioni quali 1q21.1, 15q13.3 e 22q11.
Rare mutazioni de novo del DNA, ossia
mutazioni spontanee che si verificano nella linea germinale maschile e possono
essere trasmesse dal padre con gli spermatozoi, accrescono il rischio di
schizofrenia, disturbo bipolare e ASD. Questo dato è particolarmente rilevante,
in quanto le divisioni cellulari nella linea germinale maschile continuano per
tutta la vita e, col procedere degli anni, cresce la frequenza di mutazioni,
così che i padri anziani hanno una probabilità molto più alta di quelli giovani
di avere figli affetti da schizofrenia, ASD o disturbo bipolare.
Prima di esporre in sintesi i risultati salienti
della ricerca sulle variazioni comuni, mi sembra opportuno ricordare che
inizialmente il lavoro sperimentale volto all’identificazione di geni associati
alla psicosi si basava su strategie di associazione o linkage: ad
esempio, in famiglie con numerosi membri affetti si sfruttava la correlazione
tra il disturbo e marker allelici che si supponevano associati ai geni da
scoprire (linkage analysis). Dopo il sequenziamento del genoma umano, è
stato possibile condurre studi finalizzati a stabilire se vi fossero
effettivamente “alleli di rischio” tra i geni codificanti proteine quali i
recettori della dopamina e altri polipeptidi chiave nella trasmissione
dopaminergica, in quegli anni ancora ritenuta dalla maggioranza al centro della
patogenesi della schizofrenia. Un numero vertiginosamente crescente di analisi
genetiche fu portato a termine nel giro di pochi anni, ma una meta-analisi di
tutti questi studi identificò solo 4 potenziali associazioni “forti”, nessuna
delle quali poteva essere messa in relazione con la segnalazione dopaminergica,
e il gene sicuramente implicato codificava la subunità NR2B del recettore NMDA
del glutammato.
Le variazioni comuni o polimorfismi
all’origine del disturbo schizofrenico sono state indagate con numerosi studi
GWAS, ma i risultati sono stati deludenti, forse con l’unica eccezione del gene
ZNF804A, che codifica una proteina a dita di zinco[9].
Perché la ricerca di variazioni comuni associate
significativamente alla psicosi ha dato esito negativo?
Non è facile trovare una risposta a questa domanda
e, per il momento, dobbiamo accontentarci di un’ipotesi plausibile: la
predisposizione potrebbe derivare da interazioni gene-gene e, per questo, i
polimorfismi di singoli nucleotidi non risultano associati ad aumento della
probabilità di malattia.
Un caso genetico particolare poi
assurto a paradigma di studio. Nel 1990 David St. Clair e colleghi trovarono, in
una famiglia scozzese con alta prevalenza di malattie mentali, 34 membri portatori
di una traslocazione autosomica bilanciata, dei quali cinque avevano
ricevuto diagnosi di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo e sette erano
stati diagnosticati di depressione. La traslocazione aveva danneggiato due
geni, detti DISC1 (disruption in schizophrenia 1) e DISC2
(disruption in schizophrenia 2)[10].
Anche se la traslocazione era stata individuata in
una sola famiglia, a causa dell’alta incidenza di disturbi psicotici associati,
si ipotizzò che questi due geni – e verosimilmente altri geni
situati in prossimità del punto di rottura cromosomica – fossero responsabili delle
manifestazioni cliniche, sia dei disturbi dell’umore sia di quelli
schizofreniformi. Nei due decenni successivi gli studi sono proseguiti in tutto
il mondo, e due gruppi di ricerca indipendenti sono giunti alla stessa conclusione:
alcuni polimorfismi nel gene DISC1 frequentemente sono presenti insieme
e sembrano contribuire al rischio di schizofrenia (2011)[11].
Sono stati indagati i ruoli fisiologici di DISC1
per cercare di dedurre quali processi molecolari sono alterati nella patogenesi
dei sintomi psicotici. Numerosi studi in Drosophila melanogaster e nei
roditori hanno rivelato la partecipazione di DISC1 a una gamma di
processi che va dalla segnalazione intracellulare all’espressione genica; ma la
sua importanza è massima durante l’embriogenesi cerebrale: guida la
migrazione delle cellule nervose verso la destinazione prevista dal piano di
sviluppo, supporta la corretta definizione della loro posizione e promuove la
loro differenziazione nei vari tipi cellulari. E specificamente tali processi,
di cruciale importanza per la formazione dell’encefalo, sono disturbati e resi
meno efficienti nelle alterazioni sperimentali di DISC1.
Proprio lo studio dei modelli murini della psicosi prodotti
dal difetto di DISC1 ha supportato l’idea che la schizofrenia possa essere
un disturbo pervasivo dello sviluppo, e in questo senso simile a quelli dello
spettro dell’autismo (ASD): un modello ha fatto registrare assottigliamento
della corteccia del neopallio e dilatazione compensativa dei ventricoli
cerebrali laterali, ossia modificazioni strutturali simili a quelle rilevate
nel cervello dei pazienti; un altro modello murino ha mostrato alterazioni del
comportamento nell’animale adulto.
Genetica dell’eccessiva
eliminazione sinaptica quale ipotetica causa di schizofrenia. Come ho
ricordato negli “Appunti di biologia della schizofrenia”, Irwing Feinberg per
primo ha ipotizzato che l’eccessiva eliminazione sinaptica costituisca il processo
principale nella patogenesi della schizofrenia[12]; dopo di
lui, David Lewis, Jill Glausier e numerosi altri ricercatori hanno fornito
evidenze a supporto di questa tesi[13]. Nella
schizofrenia, il processo di selezione sinaptica per eliminazione risulta
notevolmente alterato a partire dall’adolescenza: il pruning causa una massiccia
perdita di spine dendritiche con le annesse sinapsi, ma ancora non è stabilito
con certezza se la potatura eccessiva sia dovuta a un aumentato numero di
sinapsi inattive che richiedono di essere eliminate o alla perdita di
selettività del pruning[14]. Gli
studi più recenti hanno confermato che l’intensa eliminazione sinaptica, che ha
luogo nell’adolescente e nel giovane adulto, raggiunge un livello
particolarmente elevato nella corteccia prefrontale delle persone diagnosticate
di disturbo schizofrenico.
Steven McCarroll, Beth Stevens, Aswin Sekar e colleghi
della Harvard Medical School hanno studiato approfonditamente il problema dell’eliminazione
sinaptica eccessiva nella schizofrenia, cercando la causa genetica di questo
fenomeno. A questo scopo, i ricercatori hanno concentrato l’attenzione sul complesso
maggiore di istocompatibilità (MHC), una regione del cromosoma 6
codificante proteine con un alto grado di polimorfismo, essenziali per la
distinzione del sé dal non-sé e per l’identificazione di molecole estranee in
funzione della risposta immunitaria[15]. La
scelta è caduta su tale regione in quanto, in numerose indagini genetiche, risultava
strettamente associata al disturbo schizofrenico: in particolare si è deciso di
studiare il gene C4, la cui attività varia molto da una persona all’altra,
a causa del variare del suo livello di espressione. Il gruppo di Harvard si è
prefisso di stabilire in che modo i polimorfismi di C4 sono in rapporto
col grado di espressione e se l’entità della trascrizione sia in relazione con
la probabilità di sviluppo del disturbo schizofrenico.
A tale fine, McCarroll, Stevens,
Sekar e colleghi hanno analizzato i genomi di oltre
64.000 persone schizofreniche e sane, scoprendo che negli affetti da
schizofrenia era presente in una proporzione molto alta la variante C4-A
del gene C4 nella regione MHC. Questo rilievo ha suggerito che il
possesso di C4-A accresca il rischio di schizofrenia. Ma, soprattutto,
visto che proteine codificate da geni MHC sono implicate nel processo
fisiologico di eliminazione per selezione delle sinapsi, i ricercatori si sono
chiesti: qual è il ruolo svolto dalla proteina codificata da C4-A? È
possibile che sia in rapporto con l’eliminazione eccessiva di spine e sinapsi?
Per rispondere a questi due quesiti sono stati fatti
accoppiare topi privi di C4-A, e si è costatato che senza questo gene si
ha una potatura sinaptica molto più bassa del normale. Da questo esito si è
dedotto che un ruolo di C4-A consista nella promozione dell’eliminazione
delle sinapsi, e che un livello alto di espressione di questa variante
determini un eccesso di potatura sinaptica.
Gli stessi ricercatori in altri studi hanno dimostrato
che, durante lo sviluppo embrionario normale dell’encefalo, la proteina C4-A
contrassegna le sinapsi che devono essere eliminate[16]. Su
questa base si è dedotto che, più è attiva la proteina, maggiore sarà il numero
di giunzioni contrassegnate e destinate alla distruzione[17]. Presi
insieme, questi studi suggeriscono che la variante C4-A porti a un’eliminazione
sinaptica eccessiva, in particolar modo nella tarda adolescenza e nella prima
giovinezza quando questo processo è fisiologicamente più attivo, determinando
un cambiamento significativo dell’anatomia cerebrale solo a questa età della
vita: in tal modo si spiegherebbe l’esordio tardivo della malattia – a
differenza di quanto accade per i disturbi dello spettro dell’autismo – e l’assottigliamento
della neocorteccia evidente in età adulta.
È opinione corrente che la variante C4-A sia
geneticamente sufficiente a indurre i cambiamenti strutturali cerebrali
responsabili della schizofrenia. Eric Kandel in proposito afferma: “Così, McCarroll, Stevens, Sekar e i
loro colleghi ci hanno dato la prima reale incursione nell’eziologia della
schizofrenia…”[18]. Ma, se
questo è vero, è pur vero che molti altri studi suggeriscono che alterazioni
cerebrali responsabili di deliri, allucinazioni, sintomi negativi e cognitivi, si
possono avere per vie diverse.
Con la genetica dell’eccessiva eliminazione
sinaptica si concludono gli appunti introduttivi. I due prossimi paragrafi sono
dedicati a risultati recentissimi ottenuti da studi presentati nelle “Note e
Notizie”. In ogni caso, chi voglia rimanere sulle nozioni già consolidate e sul
quadro concettuale generale che ho cercato di tracciare, potrà tralasciare i
due prossimi paragrafi.
Alcuni risultati della ricerca genetica
degli ultimi sei anni. Negli
anni recenti, gli studi che hanno trovato nuovi geni associati alla
schizofrenia e possibili meccanismi molecolari all’origine dei sintomi si sono
moltiplicati al punto che, dar conto sia pur sinteticamente di ciascuno di essi,
comporterebbe l’estensione di una ponderosa rassegna monografica di
aggiornamento. Qui di seguito mi limito a riportare, in breve, di alcuni studi venuti
all’attenzione dei nostri recensori e pubblicati tra il 2017 e il 2022, mentre
dedicherò un piccolo paragrafo conclusivo a uno studio del 2023 sui geni SMAD.
Presento il primo di questi lavori con le parole stesse dei recensori. Le
persone affette da sindrome da delezione
22q11 (22q11 DS) presentano aplo-insufficienza
per il gene di claudin-5 e, nel 30% dei casi, sono affette da schizofrenia[19]. Su questa base Greene e
colleghi hanno condotto uno studio per verificare se l’alterazione della BEE
sia un fattore modificante lo sviluppo della psicosi schizofrenica. I ricercatori hanno preso le mosse dallo studio genetico di persone affette
da sindrome da delezione 22q11 (22q11
DS) ed hanno dimostrato che una variante del gene di claudin-5 è debolmente
associata alla schizofrenia e comporta una riduzione dell’espressione di
claudin-5 nelle cellule endoteliali del 75%. La sperimentazione ha poi evidenziato
che la soppressione mirata, mediante virus adeno-associati,
di claudin-5 nel cervello di topo causa interruzioni localizzate della BEE e
modificazioni comportamentali negli animali. (v. Note e Notizie 21-10-17
Claudin-5 è un fattore modificante la schizofrenia).
Il secondo studio riguarda un gene già in precedenza associato al
disturbo schizofrenico, per il quale sono stati identificati probabili
meccanismi operanti nella genesi delle psicosi.
Il gene RSRC1[20], identificato dal nome
ufficiale della HGNC arginine and serine rich coliled-coil 1 e noto
anche come BM-011, SFRS21 o SRrp53, codifica un membro della famiglia proteica
associata alla ricchezza in serina e arginina. La proteina codificata è
implicata sia nello splicing[21] costitutivo sia in quello alternativo dell’mRNA. Lo splicing alternativo produce numerosi trascritti varianti che
codificano differenti isoforme. L’espressione è stata provata nella tiroide,
nel cervello e in 25 altri tessuti; l’associazione con la schizofrenia è
comunemente accettata. La localizzazione è 3q25.32; uno pseudogene[22] di RSRC1 è localizzato sul
cromosoma 9.
Perez e colleghi hanno condotto uno studio su questo gene, dimostrando
che la sua mutazione interessa intelletto e comportamento attraverso aberrante splicing
e trascrizione, ipo-esprimendo IGFBP3 (v. Note e Notizie 24-03-18 Meccanismi
di RSRC1 nella schizofrenia e in altri disturbi).
Uno studio condotto
da Gusev e colleghi ha fornito prove convincenti che alterazioni epigenetiche
individuali nei neuroni della corteccia prefrontale abbiano un ruolo
determinante nella patogenesi della schizofrenia.
Studiando il genoma neuronico della PFC di numerosi pazienti affetti da
schizofrenia e di soggetti non affetti e corrispondenti per età, i ricercatori
hanno catalogato, basandosi sul tipo cellulare, i segnali epigenetici
dei siti di avvio trascrizionale (TSS, da transcriptional
start sites) marcati dalla trimetilazione dell’istone
H3-K4 (H3-K4me3).
Una delle più importanti alterazioni della cromatina è stata individuata in
corrispondenza della sede del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) sul
cromosoma 6, evidenziando la coincidenza fra fattori di rischio genetici ed
epigenetici nella schizofrenia. Lo studio condotto nelle cellule cerebrali mediante
analisi 3C (chromosome conformation
capture analysis) ha
rivelato l’architettura delle interazioni cromatiniche in punti multipli, tra
siti polimorfici genetici ed epigenetici associati alla schizofrenia e i geni
localizzati a distanza HLA-DRB5 e BTNL2.
I ricercatori hanno poi
rilevato che le modificazioni della cromatina nei neuroni erano particolarmente
evidenti per i geni dell’RNA non codificanti, compreso il gene non ancora
caratterizzato LINC01115 e il gene recentemente identificato BNRNA_052780. (v. Note e Notizie 02-11-19 Interazione fra genetica e ambiente nella schizofrenia).
Alcuni hanno trovato rapporti tra fattori di rischio
associati alla cannabis e predisposizione alla schizofrenia (v. Note e
Notizie 15-06-19 Nuovi loci di rischio associati alla cannabis e
predisposizione alla schizofrenia).
Meller e colleghi hanno individuato un rapporto tra geni
di rischio schizofrenico, schizotipia e modulazione
dell’attenzione (v. Note e Notizie 18-05-19 Geni di rischio schizofrenico in
schizotipia e attenzione nei sani).
Sandra
Sanchez-Roige & Abraham A. Palmer propongono la strategia
della fenotipizzazione, con la possibile caratterizzazione di endofenotipi,
per trovare un filo di Arianna nel labirinto della genetica dei disturbi mentali
(v. Note e Notizie 04-04-20 Endofenotipi per comprendere la genetica
dei disturbi mentali).
Kynon J. M. Benjamin e numerosi colleghi hanno condotto
un’analisi estesa e dettagliata del panorama genetico e trascrizionale della
schizofrenia nel nucleo caudato del corpo striato di un campione vasto e
significativo, identificando nuovi geni di rischio e rilevando elementi di
notevole interesse clinico e per il prosieguo degli studi (v. Note e Notizie
12-11-22 Schizofrenia ridefinita dal trascrittoma del caudato).
Geni SMAD quali candidati biomarker
di schizofrenia. Ammie Wolf, Assif Yitzhaky e Libi Hertzberg, rilevando in alcuni studi incoerenza e difformità
di dati circa l’espressione genica nel cervello psicotico delle SMAD, hanno deciso
di approfondire la genetica nel disturbo schizofrenico di queste proteine, così
definite in un nostro recente articolo di recensione: “Le SMAD (signal transduction through the mothers against decapentaplegic) sono
otto differenti proteine che formano una famiglia di fattori di trasduzione del
segnale, che media la segnalazione della superfamiglia TGFB di proteine
regolatorie della cellula, e sono implicate nella regolazione dei processi
infiammatori, del ciclo cellulare e del patterning
tessutale”[23].
I tre ricercatori israeliani hanno condotto una
meta-analisi sistematica dell’espressione dei geni SMAD in un totale di 423
campioni di cervello, di cui 211 affetti da schizofrenia e 212 non affetti
fungenti da controllo. La meta-analisi è stata effettuata integrando 10 datasets
da due raccolte pubbliche di dati, seguendo le linee-guida PRISMA.
Nei campioni provenienti da
cervelli di pazienti diagnosticati di schizofrenia, una up-regulation
statisticamente significativa è stata riscontrata per SMAD1, SMAD4, SMAD5 e
SMAD7, mentre una tendenza verso l’iper-espressione è stata rilevata per SMAD3
e SMAD9. Complessivamente, 6 degli 8 geni considerati mostravano una tendenza
alla iper-espressione, e nessun gene è risultato tendere alla ipo-espressione (down-regulation).
Un altro risultato sembra essere rilevante in termini clinici: nei
campioni ematici prelevati a 13 pazienti schizofrenici, nel confronto con 8
volontari privi di disturbi mentali, si è riscontrata l’iper-espressione di
SMAD1 e SMAD4. Questo rilievo nel sangue periferico suggerisce la possibilità
di candidare questi due geni SMAD quali biomarker di schizofrenia.
Ammie Wolf, Assif Yitzhaky e Libi Hertzberg hanno accertato una correlazione
significativa e interessante tra i livelli di espressione dei geni SMAD e i livelli di espressione del recettore 1 della Sfingosina-1-P
(S1PR1), che svolge un ruolo di regolazione nei processi infiammatori. I dati emersi da questo
studio supportano la tesi della partecipazione dei geni SMAD alla fisiopatologia della
schizofrenia mediante il loro ruolo nei processi infiammatori e, più in generale, dimostrano l’importanza della meta-analisi
dell’espressione genica per migliorare la nostra comprensione delle basi
neurobiologiche dei disturbi mentali.
Mi fermo qui, con la consapevolezza che gli ultimi
due paragrafi possano risultare un po’ troppo impegnativi per chi non abbia
interessi specialistici e voglia solo introdursi a questo affascinante campo di
studi, ma mi è sembrato doveroso rendere conto, a chi già conosce la materia, di
quanto sta emergendo dal lavoro più recente e da progetti di ricerca ancora in
corso. Sperando che questi appunti di genetica incontrino lo stesso favore
degli appunti di neurobiologia, ringrazio i lettori per l’attenzione e il tempo
che gli hanno dedicato.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giuseppe
Perrella
BM&L-23 settembre 2023
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.
[1] In passato ho proposto di
studiare sintomi come deliri e allucinazioni quali “schemi stereotipati di guasto”
prodotti da cause diverse ma in grado di disturbare, sia pure in modo differente,
quei processi di integrazione e sintesi neurofunzionale necessari al
ragionamento e alla elaborazione percettiva.
[2] Joseph T. Coyle, It’s Complicated: The Genetics of Schizophrenia
and Related Serious Mental Illnesses, in “The Neurochemistry of
Schizophrenia”, in Brady, Siegel, Albers, Price (eds), Basic Neurochemistry –
Principles of Molecular, Cellular and Medical Neurobiology, p. 1009,
Elsevier AP, Int. Edition 2013.
[3] È del 60% la stima riportata dal
citato approfondimento genetico di Coyle, poco superiore quella di alcuni degli
studi di riferimento del DSM-5, mentre Eric Kandel riporta addirittura un 50%
di concordanza tra gemelli monozigoti (Eric R. Kandel, The Disordered Mind,
p. 98, Farrar, Straus and Giroux, New York 2018).
[4] Wolf A. et al., SMAD genes are up-regulated in brain and
blood samples of individuals with schizophrenia. Journal of Neuroscience
Research - Epub ahead of print doi: 10.1002/jnr.25188, Mar 28, 2023.
[5] Alcune variazioni sembrano avere
un ruolo più determinante di altre, e il grado di certezza dell’associazione
dei geni di rischio deve essere valutato caso per caso, vagliando criticamente i
criteri adottati dai ricercatori alla luce delle nuove acquisizioni. In passato
si è ritenuto che mutazioni e polimorfismi si escludessero a
vicenda nella genetica della schizofrenia, ma oggi si ritiene che possano
coesistere.
[6] Gershon E. S., et al., After GWAS: Searching for genetic risk
for schizophrenia and bipolar disorder. The American Journal of
Psychiatry 168,
253-256, 2011.
[7] Eric R. Kandel, The Disordered Mind, p. 46, Farrar, Straus
and Giroux, New York 2018. Nei
disturbi dello spettro dell’autismo (ASD) sia l’aggiunta che la perdita aumentano
il rischio.
[8] La sindrome di Williams è per
molti tratti l’opposto dell’autismo: i bambini affetti sono molto socievoli,
con buona competenza linguistica, con desiderio di interagire e comunicare
anche con estranei, bravi nel riconoscere lo stato affettivo-emozionale dalle
espressioni del viso, sensibili alla musica più della media, ma molto limitati
nelle abilità visuo-spaziali e nel disegno.
[9] È questa la traduzione più
frequente di zinc-finger protein, anche se si dovrebbe parlare di polipeptidi
caratterizzati da un motivo “a dita con zinco” come precisa il dizionario
Treccani. Il motivo contiene ripetizioni di residui di cisteina e istidina che
legano ioni zinco e si ripiegano formando anse simili a dita che si legano al
DNA. Il motivo “a dita con zinco” è presente nei recettori steroidei e in molti
fattori di trascrizione (Sp1, ecc.).
[10] David St. Clair et al., Association within a Family of a
Balanced Autosomal Translocation with Major Mental Illness. Lancet 336 (8706): 13-16, 1990. DISC2
è stato meno studiato perché non codifica una proteina e si ritiene intervenga
nella regolazione di DISC1.
[11] Qiang Wang et al., The Psychiatric Disease Risk Factors DISC1
and TNIK Interact to Regulate Synapse Composition and Function. Molecular
Psychiatry 16 (10): 1006-1023, 2011.
[12]
Irwing Feinberg, Cortical Pruning and the Development of Schizophrenia. Schizophrenia
Bulletin 16 (4): 567-568, 1990.
[13] Glausier J. R., and Lewis D. A., Dendritic Spine Pathology in
Schizophrenia. Neuroscience 251: 90-107, 2013.
[14] L’argomento è sviluppato in Note
e Notizie 16-09-23 Appunti di neurobiologia della schizofrenia (v.).
[15] Le proteine più note codificate
dal complesso MHC sono i cosiddetti “antigeni da trapianto” dell’HLA (MHC-I),
ma vi sono anche le frazioni del complemento C4A, C4B, BF e C2, la proteina
HSP70 e i polipeptidi della famiglia del TNF. Nel topo l’MHC è sul cromosoma
17.
[16]
Cit. in Eric R. Kandel, op. cit., p. 103.
[17] Questa interpretazione entra in
contrasto con quella proposta da David Lewis, secondo cui la causa dell’eccessiva
eliminazione sarebbe rappresentata da un numero più alto di dendriti inattivi
e, dunque, di sinapsi inattive sulle spine dendritiche (v. Note e Notizie
00-09-23 Appunti di neurobiologia della schizofrenia).
[18] Eric R. Kandel, op. cit., p. 104.
[19] Si veda nelle “Notule” del
21-10-17: “Difetti microstrutturali
della sostanza bianca nella sindrome da delezione 22q11.2 associata a psicosi”.
[20] I dati qui riportati si
riferiscono al gene di Homo sapiens.
[21] Si è conservata la forma
inglese, perché adottata anche in molti testi italiani, nei quali in passato
era tradotta con il termine “montaggio”, in riferimento alla modifica
trascrizionale o post-trascrizionale del pre-mRNA che collega le sequenze
esoniche escludendo quelle introniche.
[22] Si ricorda che per pseudogene si intende una sequenza nucleotidica
strutturalmente simile a un gene, ma non espressa nella cellula. Lo pseudogene
sul cromosoma 9 sarebbe collegato a RSRC1 dall’origine per duplicazione da un
precursore ancestrale comune.
[23] Note e Notizie 01-04-23 Geni
SMAD e schizofrenia.