Appunti di genetica della schizofrenia

 

 

GIUSEPPE PERRELLA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 23 settembre 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Premessa. La favorevole accoglienza da parte dei lettori dei miei Appunti di neurobiologia della schizofrenia (in Note e Notizie 16-09-23), mi induce ad aderire sollecitamente alla richiesta di scrivere anche per la genetica della schizofrenia un’introduzione sintetica, chiara e accessibile e, anche questa volta, senza cenni storici, illustrazioni dei metodi e dei problemi della ricerca o riferimenti a questioni controverse. Sperando di esservi riuscito, senza aver penalizzato troppo gli aspetti che richiederebbero di essere discussi, auguro a tutti una buona lettura.

 

La genetica studia variazioni rare e variazioni comuni all’origine della schizofrenia. Per la genetica della schizofrenia non è possibile proporre un sintetico elenco di risultati della ricerca senza far cenno ai criteri adottati negli studi, perché l’esatto rapporto che intercorre tra alterazioni geniche e sviluppo del disturbo clinico non si conosce ancora. E ciò è dovuto sia alla mancata definizione delle sequenze molecolari eziopatogenetiche, sia al fatto che percorsi molecolari differenti potrebbero portare allo stesso tipo di deficit e squilibri tra sistemi neuronici, che causano deliri, allucinazioni e sintomi cognitivi[1]. Non è un caso che Joseph Coyle, nel titolo di un suo approfondimento sulla genetica della schizofrenia, dichiari: “È complicata”[2].

Sia la genetica epidemiologica degli “alleli di rischio” sia i risultati degli studi genetici nelle famiglie sono interpretati in base a delle ipotesi in attesa di conferma sperimentale. Ma, procediamo con ordine, ossia da come si sia giunti a ritenere che la componente genetica sia essenziale e necessaria, ma non sufficiente allo sviluppo del quadro clinico.

Nella popolazione generale la probabilità o “rischio” di sviluppo della psicosi è stimata dell’1%, mentre la concordanza nei gemelli monozigoti, quando uno è affetto, è fissata dagli studi classici intorno al 60-65%[3], al 10% tra fratelli non gemelli e al 3% tra parenti di primo grado; ma recentemente questa stima è stata rivista e corretta, portando all’80% il ruolo dei geni nello sviluppo del quadro clinico[4]. L’importanza della base genetica è dunque fuori discussione ma, rimanendo una probabilità di almeno il 20% che non sviluppi la malattia psichica una persona con lo stesso patrimonio genico di uno schizofrenico, il ruolo dei fattori ambientali, intesi nel senso più estensivo possibile del termine, rimane di estremo interesse.

Gli studi recenti volti a determinare quali geni siano responsabili delle anomalie cerebrali osservate negli schizofrenici e a quali funzioni tali geni contribuiscano, sono stati condotti prevalentemente da consorzi internazionali di ricerca in grado di coprire uno spettro di indagine di decine di migliaia di pazienti e membri delle loro famiglie. È emerso che, sebbene i sintomi diacritici appaiano al più presto nella tarda adolescenza, molti dei geni associati alla schizofrenia sono attivi già nello sviluppo embrionale o fetale. Questo rilievo è coerente con la nozione della vulnerabilità intrauterina a fattori di rischio ambientale, le cui conseguenze si manifestano nella vita adulta.

Per la schizofrenia, come per l’autismo e il disturbo bipolare, la ricerca genetica distingue due categorie di varianza: variazioni rare e variazioni comuni. Le variazioni rare, che si rilevano in meno dell’1% della popolazione e spesso in una proporzione bassissima, prendono il nome di mutazioni. Le variazioni comuni sono apparse nel genoma umano molte generazioni fa, sono presenti in più dell’1% della popolazione generale e, in quanto si considerano forme possibili dello stesso gene, si chiamano polimorfismi. Entrambi i tipi di variazioni possono essere causa o concausa di malattia, e si ritiene che sia i polimorfismi che le mutazioni possano predisporre alla schizofrenia[5].

I meccanismi patologici delle varianti rare ci dicono che mutazioni rare accrescono enormemente il rischio di una persona di sviluppare un disturbo relativamente comune.

A questo punto è opportuno ricordare in cosa consistano le CNV (copy number variations): scolasticamente le CNV sono descritte come rare variazioni che modificano la struttura di un cromosoma attraverso l’aggiunta di uno o più geni (copy number duplication, ecc.) o attraverso la perdita (copy number deletion); la ricerca sulla genetica dei disturbi mentali ha rivelato che le CNV consistono in micro-inserzioni, micro-delezioni e trasposizioni nel genoma umano che variano in dimensioni da centinaia a milioni di coppie di basi del DNA[6]. Alcuni studi hanno rilevato che le CNV accrescono o riducono i geni di un cromosoma in un numero variabile da 20 a 30[7].

Nella schizofrenia, rare CNV del cromosoma 7 accrescono il rischio di sviluppare il disturbo, e sono le stesse CNV associate ad aumentato rischio di disturbi dello spettro dell’autismo (ASD). A questo proposito è particolarmente significativo il lavoro di Matthew State, che ha identificato un segmento del cromosoma 7 (7q11.23) di assoluta importanza: una copia in più accresce straordinariamente la probabilità di sviluppo di un ASD, mentre la sua assenza per delezione causa la sindrome di Williams[8].

Gli studi sulle CNV associate alla schizofrenia hanno individuato rare delezioni quali 1q21.1, 15q13.3 e 22q11.

Rare mutazioni de novo del DNA, ossia mutazioni spontanee che si verificano nella linea germinale maschile e possono essere trasmesse dal padre con gli spermatozoi, accrescono il rischio di schizofrenia, disturbo bipolare e ASD. Questo dato è particolarmente rilevante, in quanto le divisioni cellulari nella linea germinale maschile continuano per tutta la vita e, col procedere degli anni, cresce la frequenza di mutazioni, così che i padri anziani hanno una probabilità molto più alta di quelli giovani di avere figli affetti da schizofrenia, ASD o disturbo bipolare.

Prima di esporre in sintesi i risultati salienti della ricerca sulle variazioni comuni, mi sembra opportuno ricordare che inizialmente il lavoro sperimentale volto all’identificazione di geni associati alla psicosi si basava su strategie di associazione o linkage: ad esempio, in famiglie con numerosi membri affetti si sfruttava la correlazione tra il disturbo e marker allelici che si supponevano associati ai geni da scoprire (linkage analysis). Dopo il sequenziamento del genoma umano, è stato possibile condurre studi finalizzati a stabilire se vi fossero effettivamente “alleli di rischio” tra i geni codificanti proteine quali i recettori della dopamina e altri polipeptidi chiave nella trasmissione dopaminergica, in quegli anni ancora ritenuta dalla maggioranza al centro della patogenesi della schizofrenia. Un numero vertiginosamente crescente di analisi genetiche fu portato a termine nel giro di pochi anni, ma una meta-analisi di tutti questi studi identificò solo 4 potenziali associazioni “forti”, nessuna delle quali poteva essere messa in relazione con la segnalazione dopaminergica, e il gene sicuramente implicato codificava la subunità NR2B del recettore NMDA del glutammato.

Le variazioni comuni o polimorfismi all’origine del disturbo schizofrenico sono state indagate con numerosi studi GWAS, ma i risultati sono stati deludenti, forse con l’unica eccezione del gene ZNF804A, che codifica una proteina a dita di zinco[9].

Perché la ricerca di variazioni comuni associate significativamente alla psicosi ha dato esito negativo?

Non è facile trovare una risposta a questa domanda e, per il momento, dobbiamo accontentarci di un’ipotesi plausibile: la predisposizione potrebbe derivare da interazioni gene-gene e, per questo, i polimorfismi di singoli nucleotidi non risultano associati ad aumento della probabilità di malattia.

 

Un caso genetico particolare poi assurto a paradigma di studio. Nel 1990 David St. Clair e colleghi trovarono, in una famiglia scozzese con alta prevalenza di malattie mentali, 34 membri portatori di una traslocazione autosomica bilanciata, dei quali cinque avevano ricevuto diagnosi di schizofrenia o disturbo schizoaffettivo e sette erano stati diagnosticati di depressione. La traslocazione aveva danneggiato due geni, detti DISC1 (disruption in schizophrenia 1) e DISC2 (disruption in schizophrenia 2)[10].

Anche se la traslocazione era stata individuata in una sola famiglia, a causa dell’alta incidenza di disturbi psicotici associati, si ipotizzò che questi due geni – e verosimilmente altri geni situati in prossimità del punto di rottura cromosomica – fossero responsabili delle manifestazioni cliniche, sia dei disturbi dell’umore sia di quelli schizofreniformi. Nei due decenni successivi gli studi sono proseguiti in tutto il mondo, e due gruppi di ricerca indipendenti sono giunti alla stessa conclusione: alcuni polimorfismi nel gene DISC1 frequentemente sono presenti insieme e sembrano contribuire al rischio di schizofrenia (2011)[11].

Sono stati indagati i ruoli fisiologici di DISC1 per cercare di dedurre quali processi molecolari sono alterati nella patogenesi dei sintomi psicotici. Numerosi studi in Drosophila melanogaster e nei roditori hanno rivelato la partecipazione di DISC1 a una gamma di processi che va dalla segnalazione intracellulare all’espressione genica; ma la sua importanza è massima durante l’embriogenesi cerebrale: guida la migrazione delle cellule nervose verso la destinazione prevista dal piano di sviluppo, supporta la corretta definizione della loro posizione e promuove la loro differenziazione nei vari tipi cellulari. E specificamente tali processi, di cruciale importanza per la formazione dell’encefalo, sono disturbati e resi meno efficienti nelle alterazioni sperimentali di DISC1.

Proprio lo studio dei modelli murini della psicosi prodotti dal difetto di DISC1 ha supportato l’idea che la schizofrenia possa essere un disturbo pervasivo dello sviluppo, e in questo senso simile a quelli dello spettro dell’autismo (ASD): un modello ha fatto registrare assottigliamento della corteccia del neopallio e dilatazione compensativa dei ventricoli cerebrali laterali, ossia modificazioni strutturali simili a quelle rilevate nel cervello dei pazienti; un altro modello murino ha mostrato alterazioni del comportamento nell’animale adulto.

 

Genetica dell’eccessiva eliminazione sinaptica quale ipotetica causa di schizofrenia. Come ho ricordato negli “Appunti di biologia della schizofrenia”, Irwing Feinberg per primo ha ipotizzato che l’eccessiva eliminazione sinaptica costituisca il processo principale nella patogenesi della schizofrenia[12]; dopo di lui, David Lewis, Jill Glausier e numerosi altri ricercatori hanno fornito evidenze a supporto di questa tesi[13]. Nella schizofrenia, il processo di selezione sinaptica per eliminazione risulta notevolmente alterato a partire dall’adolescenza: il pruning causa una massiccia perdita di spine dendritiche con le annesse sinapsi, ma ancora non è stabilito con certezza se la potatura eccessiva sia dovuta a un aumentato numero di sinapsi inattive che richiedono di essere eliminate o alla perdita di selettività del pruning[14]. Gli studi più recenti hanno confermato che l’intensa eliminazione sinaptica, che ha luogo nell’adolescente e nel giovane adulto, raggiunge un livello particolarmente elevato nella corteccia prefrontale delle persone diagnosticate di disturbo schizofrenico.

Steven McCarroll, Beth Stevens, Aswin Sekar e colleghi della Harvard Medical School hanno studiato approfonditamente il problema dell’eliminazione sinaptica eccessiva nella schizofrenia, cercando la causa genetica di questo fenomeno. A questo scopo, i ricercatori hanno concentrato l’attenzione sul complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), una regione del cromosoma 6 codificante proteine con un alto grado di polimorfismo, essenziali per la distinzione del sé dal non-sé e per l’identificazione di molecole estranee in funzione della risposta immunitaria[15]. La scelta è caduta su tale regione in quanto, in numerose indagini genetiche, risultava strettamente associata al disturbo schizofrenico: in particolare si è deciso di studiare il gene C4, la cui attività varia molto da una persona all’altra, a causa del variare del suo livello di espressione. Il gruppo di Harvard si è prefisso di stabilire in che modo i polimorfismi di C4 sono in rapporto col grado di espressione e se l’entità della trascrizione sia in relazione con la probabilità di sviluppo del disturbo schizofrenico.

A tale fine, McCarroll, Stevens, Sekar e colleghi hanno analizzato i genomi di oltre 64.000 persone schizofreniche e sane, scoprendo che negli affetti da schizofrenia era presente in una proporzione molto alta la variante C4-A del gene C4 nella regione MHC. Questo rilievo ha suggerito che il possesso di C4-A accresca il rischio di schizofrenia. Ma, soprattutto, visto che proteine codificate da geni MHC sono implicate nel processo fisiologico di eliminazione per selezione delle sinapsi, i ricercatori si sono chiesti: qual è il ruolo svolto dalla proteina codificata da C4-A? È possibile che sia in rapporto con l’eliminazione eccessiva di spine e sinapsi?

Per rispondere a questi due quesiti sono stati fatti accoppiare topi privi di C4-A, e si è costatato che senza questo gene si ha una potatura sinaptica molto più bassa del normale. Da questo esito si è dedotto che un ruolo di C4-A consista nella promozione dell’eliminazione delle sinapsi, e che un livello alto di espressione di questa variante determini un eccesso di potatura sinaptica.

Gli stessi ricercatori in altri studi hanno dimostrato che, durante lo sviluppo embrionario normale dell’encefalo, la proteina C4-A contrassegna le sinapsi che devono essere eliminate[16]. Su questa base si è dedotto che, più è attiva la proteina, maggiore sarà il numero di giunzioni contrassegnate e destinate alla distruzione[17]. Presi insieme, questi studi suggeriscono che la variante C4-A porti a un’eliminazione sinaptica eccessiva, in particolar modo nella tarda adolescenza e nella prima giovinezza quando questo processo è fisiologicamente più attivo, determinando un cambiamento significativo dell’anatomia cerebrale solo a questa età della vita: in tal modo si spiegherebbe l’esordio tardivo della malattia – a differenza di quanto accade per i disturbi dello spettro dell’autismo – e l’assottigliamento della neocorteccia evidente in età adulta.

È opinione corrente che la variante C4-A sia geneticamente sufficiente a indurre i cambiamenti strutturali cerebrali responsabili della schizofrenia. Eric Kandel in proposito afferma: “Così, McCarroll, Stevens, Sekar e i loro colleghi ci hanno dato la prima reale incursione nell’eziologia della schizofrenia…”[18]. Ma, se questo è vero, è pur vero che molti altri studi suggeriscono che alterazioni cerebrali responsabili di deliri, allucinazioni, sintomi negativi e cognitivi, si possono avere per vie diverse.

Con la genetica dell’eccessiva eliminazione sinaptica si concludono gli appunti introduttivi. I due prossimi paragrafi sono dedicati a risultati recentissimi ottenuti da studi presentati nelle “Note e Notizie”. In ogni caso, chi voglia rimanere sulle nozioni già consolidate e sul quadro concettuale generale che ho cercato di tracciare, potrà tralasciare i due prossimi paragrafi.

 

Alcuni risultati della ricerca genetica degli ultimi sei anni. Negli anni recenti, gli studi che hanno trovato nuovi geni associati alla schizofrenia e possibili meccanismi molecolari all’origine dei sintomi si sono moltiplicati al punto che, dar conto sia pur sinteticamente di ciascuno di essi, comporterebbe l’estensione di una ponderosa rassegna monografica di aggiornamento. Qui di seguito mi limito a riportare, in breve, di alcuni studi venuti all’attenzione dei nostri recensori e pubblicati tra il 2017 e il 2022, mentre dedicherò un piccolo paragrafo conclusivo a uno studio del 2023 sui geni SMAD.

Presento il primo di questi lavori con le parole stesse dei recensori. Le persone affette da sindrome da delezione 22q11 (22q11 DS) presentano aplo-insufficienza per il gene di claudin-5 e, nel 30% dei casi, sono affette da schizofrenia[19]. Su questa base Greene e colleghi hanno condotto uno studio per verificare se l’alterazione della BEE sia un fattore modificante lo sviluppo della psicosi schizofrenica. I ricercatori hanno preso le mosse dallo studio genetico di persone affette da sindrome da delezione 22q11 (22q11 DS) ed hanno dimostrato che una variante del gene di claudin-5 è debolmente associata alla schizofrenia e comporta una riduzione dell’espressione di claudin-5 nelle cellule endoteliali del 75%. La sperimentazione ha poi evidenziato che la soppressione mirata, mediante virus adeno-associati, di claudin-5 nel cervello di topo causa interruzioni localizzate della BEE e modificazioni comportamentali negli animali. (v. Note e Notizie 21-10-17 Claudin-5 è un fattore modificante la schizofrenia).

Il secondo studio riguarda un gene già in precedenza associato al disturbo schizofrenico, per il quale sono stati identificati probabili meccanismi operanti nella genesi delle psicosi.

Il gene RSRC1[20], identificato dal nome ufficiale della HGNC arginine and serine rich coliled-coil 1 e noto anche come BM-011, SFRS21 o SRrp53, codifica un membro della famiglia proteica associata alla ricchezza in serina e arginina. La proteina codificata è implicata sia nello splicing[21] costitutivo sia in quello alternativo dell’mRNA. Lo splicing alternativo produce numerosi trascritti varianti che codificano differenti isoforme. L’espressione è stata provata nella tiroide, nel cervello e in 25 altri tessuti; l’associazione con la schizofrenia è comunemente accettata. La localizzazione è 3q25.32; uno pseudogene[22] di RSRC1 è localizzato sul cromosoma 9.

Perez e colleghi hanno condotto uno studio su questo gene, dimostrando che la sua mutazione interessa intelletto e comportamento attraverso aberrante splicing e trascrizione, ipo-esprimendo IGFBP3 (v. Note e Notizie 24-03-18 Meccanismi di RSRC1 nella schizofrenia e in altri disturbi).

Uno studio condotto da Gusev e colleghi ha fornito prove convincenti che alterazioni epigenetiche individuali nei neuroni della corteccia prefrontale abbiano un ruolo determinante nella patogenesi della schizofrenia.

Studiando il genoma neuronico della PFC di numerosi pazienti affetti da schizofrenia e di soggetti non affetti e corrispondenti per età, i ricercatori hanno catalogato, basandosi sul tipo cellulare, i segnali epigenetici dei siti di avvio trascrizionale (TSS, da transcriptional start sites) marcati dalla trimetilazione dell’istone H3-K4 (H3-K4me3).

Una delle più importanti alterazioni della cromatina è stata individuata in corrispondenza della sede del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) sul cromosoma 6, evidenziando la coincidenza fra fattori di rischio genetici ed epigenetici nella schizofrenia. Lo studio condotto nelle cellule cerebrali mediante analisi 3C (chromosome conformation capture analysis) ha rivelato l’architettura delle interazioni cromatiniche in punti multipli, tra siti polimorfici genetici ed epigenetici associati alla schizofrenia e i geni localizzati a distanza HLA-DRB5 e BTNL2.

I ricercatori hanno poi rilevato che le modificazioni della cromatina nei neuroni erano particolarmente evidenti per i geni dell’RNA non codificanti, compreso il gene non ancora caratterizzato LINC01115 e il gene recentemente identificato BNRNA_052780. (v. Note e Notizie 02-11-19 Interazione fra genetica e ambiente nella schizofrenia).

Alcuni hanno trovato rapporti tra fattori di rischio associati alla cannabis e predisposizione alla schizofrenia (v. Note e Notizie 15-06-19 Nuovi loci di rischio associati alla cannabis e predisposizione alla schizofrenia).

Meller e colleghi hanno individuato un rapporto tra geni di rischio schizofrenico, schizotipia e modulazione dell’attenzione (v. Note e Notizie 18-05-19 Geni di rischio schizofrenico in schizotipia e attenzione nei sani).

Sandra Sanchez-Roige & Abraham A. Palmer propongono la strategia della fenotipizzazione, con la possibile caratterizzazione di endofenotipi, per trovare un filo di Arianna nel labirinto della genetica dei disturbi mentali (v. Note e Notizie 04-04-20 Endofenotipi per comprendere la genetica dei disturbi mentali).

Kynon J. M. Benjamin e numerosi colleghi hanno condotto un’analisi estesa e dettagliata del panorama genetico e trascrizionale della schizofrenia nel nucleo caudato del corpo striato di un campione vasto e significativo, identificando nuovi geni di rischio e rilevando elementi di notevole interesse clinico e per il prosieguo degli studi (v. Note e Notizie 12-11-22 Schizofrenia ridefinita dal trascrittoma del caudato).

 

Geni SMAD quali candidati biomarker di schizofrenia. Ammie Wolf, Assif Yitzhaky e Libi Hertzberg, rilevando in alcuni studi incoerenza e difformità di dati circa l’espressione genica nel cervello psicotico delle SMAD, hanno deciso di approfondire la genetica nel disturbo schizofrenico di queste proteine, così definite in un nostro recente articolo di recensione: “Le SMAD (signal transduction through the mothers against decapentaplegic) sono otto differenti proteine che formano una famiglia di fattori di trasduzione del segnale, che media la segnalazione della superfamiglia TGFB di proteine regolatorie della cellula, e sono implicate nella regolazione dei processi infiammatori, del ciclo cellulare e del patterning tessutale”[23].

I tre ricercatori israeliani hanno condotto una meta-analisi sistematica dell’espressione dei geni SMAD in un totale di 423 campioni di cervello, di cui 211 affetti da schizofrenia e 212 non affetti fungenti da controllo. La meta-analisi è stata effettuata integrando 10 datasets da due raccolte pubbliche di dati, seguendo le linee-guida PRISMA.

Nei campioni provenienti da cervelli di pazienti diagnosticati di schizofrenia, una up-regulation statisticamente significativa è stata riscontrata per SMAD1, SMAD4, SMAD5 e SMAD7, mentre una tendenza verso l’iper-espressione è stata rilevata per SMAD3 e SMAD9. Complessivamente, 6 degli 8 geni considerati mostravano una tendenza alla iper-espressione, e nessun gene è risultato tendere alla ipo-espressione (down-regulation).

Un altro risultato sembra essere rilevante in termini clinici: nei campioni ematici prelevati a 13 pazienti schizofrenici, nel confronto con 8 volontari privi di disturbi mentali, si è riscontrata l’iper-espressione di SMAD1 e SMAD4. Questo rilievo nel sangue periferico suggerisce la possibilità di candidare questi due geni SMAD quali biomarker di schizofrenia.

 

Ammie Wolf, Assif Yitzhaky e Libi Hertzberg hanno accertato una correlazione significativa e interessante tra i livelli di espressione dei geni SMAD e i livelli di espressione del recettore 1 della Sfingosina-1-P (S1PR1), che svolge un ruolo di regolazione nei processi infiammatori. I dati emersi da questo studio supportano la tesi della partecipazione dei geni SMAD alla fisiopatologia della schizofrenia mediante il loro ruolo nei processi infiammatori e, più in generale, dimostrano l’importanza della meta-analisi dell’espressione genica per migliorare la nostra comprensione delle basi neurobiologiche dei disturbi mentali.

 

Mi fermo qui, con la consapevolezza che gli ultimi due paragrafi possano risultare un po’ troppo impegnativi per chi non abbia interessi specialistici e voglia solo introdursi a questo affascinante campo di studi, ma mi è sembrato doveroso rendere conto, a chi già conosce la materia, di quanto sta emergendo dal lavoro più recente e da progetti di ricerca ancora in corso. Sperando che questi appunti di genetica incontrino lo stesso favore degli appunti di neurobiologia, ringrazio i lettori per l’attenzione e il tempo che gli hanno dedicato.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giuseppe Perrella

BM&L-23 settembre 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] In passato ho proposto di studiare sintomi come deliri e allucinazioni quali “schemi stereotipati di guasto” prodotti da cause diverse ma in grado di disturbare, sia pure in modo differente, quei processi di integrazione e sintesi neurofunzionale necessari al ragionamento e alla elaborazione percettiva.

[2] Joseph T. Coyle, It’s Complicated: The Genetics of Schizophrenia and Related Serious Mental Illnesses, in “The Neurochemistry of Schizophrenia”, in Brady, Siegel, Albers, Price (eds), Basic Neurochemistry – Principles of Molecular, Cellular and Medical Neurobiology, p. 1009, Elsevier AP, Int. Edition 2013.

[3] È del 60% la stima riportata dal citato approfondimento genetico di Coyle, poco superiore quella di alcuni degli studi di riferimento del DSM-5, mentre Eric Kandel riporta addirittura un 50% di concordanza tra gemelli monozigoti (Eric R. Kandel, The Disordered Mind, p. 98, Farrar, Straus and Giroux, New York 2018).

[4] Wolf A. et al., SMAD genes are up-regulated in brain and blood samples of individuals with schizophrenia. Journal of Neuroscience Research - Epub ahead of print doi: 10.1002/jnr.25188, Mar 28, 2023.

[5] Alcune variazioni sembrano avere un ruolo più determinante di altre, e il grado di certezza dell’associazione dei geni di rischio deve essere valutato caso per caso, vagliando criticamente i criteri adottati dai ricercatori alla luce delle nuove acquisizioni. In passato si è ritenuto che mutazioni e polimorfismi si escludessero a vicenda nella genetica della schizofrenia, ma oggi si ritiene che possano coesistere.

[6] Gershon E. S., et al., After GWAS: Searching for genetic risk for schizophrenia and bipolar disorder. The American Journal of Psychiatry 168, 253-256, 2011.

[7] Eric R. Kandel, The Disordered Mind, p. 46, Farrar, Straus and Giroux, New York 2018. Nei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD) sia l’aggiunta che la perdita aumentano il rischio.

[8] La sindrome di Williams è per molti tratti l’opposto dell’autismo: i bambini affetti sono molto socievoli, con buona competenza linguistica, con desiderio di interagire e comunicare anche con estranei, bravi nel riconoscere lo stato affettivo-emozionale dalle espressioni del viso, sensibili alla musica più della media, ma molto limitati nelle abilità visuo-spaziali e nel disegno.

[9] È questa la traduzione più frequente di zinc-finger protein, anche se si dovrebbe parlare di polipeptidi caratterizzati da un motivo “a dita con zinco” come precisa il dizionario Treccani. Il motivo contiene ripetizioni di residui di cisteina e istidina che legano ioni zinco e si ripiegano formando anse simili a dita che si legano al DNA. Il motivo “a dita con zinco” è presente nei recettori steroidei e in molti fattori di trascrizione (Sp1, ecc.).

[10] David St. Clair et al., Association within a Family of a Balanced Autosomal Translocation with Major Mental Illness. Lancet 336 (8706): 13-16, 1990. DISC2 è stato meno studiato perché non codifica una proteina e si ritiene intervenga nella regolazione di DISC1.

[11] Qiang Wang et al., The Psychiatric Disease Risk Factors DISC1 and TNIK Interact to Regulate Synapse Composition and Function. Molecular Psychiatry 16 (10): 1006-1023, 2011.

[12] Irwing Feinberg, Cortical Pruning and the Development of Schizophrenia. Schizophrenia Bulletin 16 (4): 567-568, 1990.

[13] Glausier J. R., and Lewis D. A., Dendritic Spine Pathology in Schizophrenia. Neuroscience 251: 90-107, 2013.

[14] L’argomento è sviluppato in Note e Notizie 16-09-23 Appunti di neurobiologia della schizofrenia (v.).

[15] Le proteine più note codificate dal complesso MHC sono i cosiddetti “antigeni da trapianto” dell’HLA (MHC-I), ma vi sono anche le frazioni del complemento C4A, C4B, BF e C2, la proteina HSP70 e i polipeptidi della famiglia del TNF. Nel topo l’MHC è sul cromosoma 17.

[16] Cit. in Eric R. Kandel, op. cit., p. 103.

[17] Questa interpretazione entra in contrasto con quella proposta da David Lewis, secondo cui la causa dell’eccessiva eliminazione sarebbe rappresentata da un numero più alto di dendriti inattivi e, dunque, di sinapsi inattive sulle spine dendritiche (v. Note e Notizie 00-09-23 Appunti di neurobiologia della schizofrenia).

[18] Eric R. Kandel, op. cit., p. 104.

[19] Si veda nelle “Notule” del 21-10-17: “Difetti microstrutturali della sostanza bianca nella sindrome da delezione 22q11.2 associata a psicosi”.

[20] I dati qui riportati si riferiscono al gene di Homo sapiens.

[21] Si è conservata la forma inglese, perché adottata anche in molti testi italiani, nei quali in passato era tradotta con il termine “montaggio”, in riferimento alla modifica trascrizionale o post-trascrizionale del pre-mRNA che collega le sequenze esoniche escludendo quelle introniche.

[22] Si ricorda che per pseudogene si intende una sequenza nucleotidica strutturalmente simile a un gene, ma non espressa nella cellula. Lo pseudogene sul cromosoma 9 sarebbe collegato a RSRC1 dall’origine per duplicazione da un precursore ancestrale comune.

[23] Note e Notizie 01-04-23 Geni SMAD e schizofrenia.